Ieri il Governo ha varato il DEF, il Documento di Economia e Finanza, che traccia le linee programmatiche fino al 2026.
Ne emerge un quadro non semplice per il nostro Paese, “zavorrato” com’è da un debito pubblico “monstre” pari al 144,4%, che, a fatica, scenderà al 140,4% del PIL nel 2026. Se nel 2021 e nel 2022 la sua discesa, dopo la sua esplosione nell’anno del Covid, che lo ha visto crescere sino a raggiungere il 155% del PIL, è stata piuttosto rapida, grazie ad una crescita economica che ha ricordato il “boom” dei primi anni 60, da qui in avanti si torna al “deja vu”, con l’Italia che torna nei ranghi. Per quest’anno, infatti, si ipotizza una crescita tendenziale dello 0,9% (il precedente DEF stimava lo 0,6%), anche se, in realtà, le previsioni si spingono ad una crescita dell’1%. Per l’anno prossimo, invece, il DEF prevede una crescita dell’1,5%, inferiore di quasi mezzo punto rispetto al precedente + 1,9%. Il tutto si misura con una crescita globale che il FMI stima, per il 2023, del 2,8%, la più bassa dal 1990. Sempre per il FMI l’Italia crescerà dello 0,7% quest’anno e dello 0,8% l’anno prossimo.
Che il debito pubblico italiano sia il “problema” è cosa nota a tutti. Il lungo periodo dei “tassi a zero” ha indubbiamente favorito non poco il nostro Paese, con una spesa per interessi piuttosto contenuta, almeno per i nostri standard (circa € 60MD annui), permettendo di “dirottare” le risorse su altre voci di spesa, ovvero di contenerle. L’impennata a cui stiamo assistendo dall’anno scorso torna invece a creare non poche difficoltà, con una crescita impetuosa. Per quest’anno si prevede a toccare € 74,67 MD, che diventeranno € 86,21 MD l’anno prossimo, per salire ulteriormente a € 91,28 MD nel 2025 e sfondare i 100,85 MD nel 2026. Ovviamente la crescita sconta il “rinnovo” di tutte le emissioni che andranno in scadenza in questi anni, rinnovi che avverranno a condizioni di mercato molto meno favorevoli di quelle di cui abbiamo goduto in tutti questi anni (basti pensare che l’ultima emissione di BOT a 6 mesi è avvenuta ad un tasso superiore, seppur di qualche centesimo, al 3%, mentre il rendimento del BTP decennale è stabilmente oltre il 4%).
Difficile, in queste condizioni, trovare risorse per aiutare la crescita.
Ieri, nelle “pieghe” del bilancio pare siano stati “trovati” € 3MD da dedicare al cuneo fiscale (ricordiamolo ancora una volta tra i più alti al mondo, più o meno il 46,5%, che arriva quasi al 50% considerando oneri e contributi sociali), vale a dire all’abbattimento degli oneri per i lavoratori con redditi fino a € 35.000 lordi. Per l’esercizio in corso il disavanzo pubblico (deficit) sarà al 4,5%, destinato a scendere al 3,7% l’anno prossimo (anno in cui, va detto, dovrebbe però tornare il patto di stabilità, che prevede una “soglia” del 3%).
Si può ben capire, con un quadro simile, l’importanza del PNRR: rinunciare anche solo ad una parte dei sussidi e dei prestiti che la UE ci ha messo a disposizione (è dei giorni scorsi la polemica relativa al rischio che l’Italia possa non ricevere la tranche di € 19MD) potrebbe far “saltare il banco”, con conseguenze che non si farebbero attendere sullo spread, il termometro che misura non solo la nostra solidità ma forse ancor di più la nostra credibilità, aspetto fondamentale per chi, come noi, deve continuamente far ricorso alla fiducia degli investitori e dei risparmiatori per finanziarsi (soprattutto in un momento in cui è venuto meno il “compratore” più importante, vale a dire la BCE).
Ieri a Wall Street seduta interlocutoria, in attesa dei dati sull’inflazione, con chiusure contrastate: Dow Jones in crescita dello 0,30%, mentre il Nasdaq è sceso dello 0,67%.
Questa mattina anche le borse asiatiche sembrano emulare il mercato americano: positive Tokyo (Nikkei + 0,6%) e Shanghai (+ 0,38%), mentre a Hong Kong scivola l’Hang Seng (– 0,60%).
Futures frazionalmente sotto la parità ovunque.
Non si ferma l’aumento del petrolio, con il WTI che si porta sopra gli 81$ (81,73).
Gas naturale Usa a $ 2,209, + 0,91%.
Continuano i segnali di forza dell’oro, che tocca questa mattina i $ 2.033,30 (+ 0,61%).
Spread a 186,1 bp, con il BTP al 4,16%, + 13 bp rispetto a ieri.
Immobile il treasury Usa, al 3,43%.
€/$ a 1,0917.
Sempre in “quota” il bitcoin, anche se questa mattina tratta appena sotto i $ 30.000 (29.934,50).
Ps: che l’oro sia tornato di attualità è un dato di fatto. Ma la conferma ci arriva da quanto sta succedendo di aziende produttrici. Infatti Newmont, uno dei gruppi minerari più forti al mondo, ha offerto oltre $ 19,5 MD (dopo che a febbraio era stata “rigettata” un’offerta da $ 17 MD) per acquisire l’australiana Newcrest, forse uno dei suoi concorrenti più grandi. Nascerebbe così il gruppo più grande al mondo nel settore dei metalli preziosi.